Lavorare con un figlio: come ho aumentato la produttività
Mi sento di scrivere questo post dopo qualche mese dalla nascita di Giulio, nove per la precisione. Ecco un altro mito da sfatare sulla correlazione bambini e lavoro, a patto che si parli di una libera professionista, perché questa è la mia esperienza e altre non ne conosco, o non le conosco così bene come la mia, e ci mancherebbe.
Prima di rimanere incinta e già quando lo ero, le mie paure erano sempre le solite “oh mio dio come farò…” e bla bla bla, ormai se mi leggete le sapete a memoria, ne ho parlato diverse volte, non ultimo nel post sul volare in gravidanza. Dicevo, come farò a lavorare io che ora dedico tutto il mio tempo, le ore lavorative e anche quelle non lavorative per definizione (quindi la sera e il weekend) al lavoro?
Io che se sono online leggo, scrivo, studio, imparo, cerco, ripropongo e tanto altro?
Io che 8 ore non mi bastano mai perché finché sei dipendente tanto tanto, ma quando l’azienda è la tua come fai se non finisci un lavoro per le 18.30? Vai avanti ad oltranza, ovvio.
Mi sono dovuta ricredere.
Com’era prima di Giulio
Prima di Giulio ero una trottola. Facevo in media 40/50 viaggi all’anno, non riuscivo a mettere giù una valigia che subito ce n’era un’altra da preparare, ero felice e viaggiavo moltissimo ma anche molto stressata, nonostante io sia eternamente grata per tutto quello che questo periodo da nomade mi ha fatto vedere e fare.
Prima di Giulio lavoravo tantissimo, forse troppo, ero sempre connessa e vuoi per l’inesperienza (i pochi anni da freelance) o per tanti altri motivi (vivevo a Roma a 900€ al mese spese escluse, per dirne uno) accettavo tanti lavori, poi lavoravo, viaggiavo, viaggiavo e lavoravo senza tregua. Lo ammetto, ho fatto viaggi bellissimi e seguito progetti interessanti, ma non sempre dedicavo il giusto tempo alle cose, soprattutto a quelle private. Dopo anni di questa vita mi ero concessa il lusso di lasciare le cene e il dopo cena senza connessione. La mattina però lo smartphone era la prima cosa che guardavo, soprattutto se aspettavo qualche mail importante o qualche risposta a lavori che attendevo.
La mia vita ora con Giulio
Ora con Giulio lavoro di meno, in termini di ore, ma quando lavoro sono più concentrata. Evito tantissime letture inutili, che lascio ad altri momenti, vedi il perdere tempo girando tra i vari social network, che diciamo la verità, lo si fa e lo si fa spesso. Ogni tanto si da una sbirciatina a Facebook, Instagram, si va su twitter, ci si accorge di qualcosa di interessante e si apre un articolo, una chat, si scrive all’amica e via dicendo. Ora quando lavoro, quindi quando Giulio dorme o è al nido, queste cose non le faccio.
Chiudo tutto e lavoro a macchinetta.
Anche prima avevo un calendario, ma ora lo seguo in modo molto più preciso e soprattutto lo seguo davvero. Mi appunto tutto, cerco di non mettere mai più di 5, 6 al massimo 7 attività lavorative al giorno e quelle che non porto a termine per un motivo o per un altro le scalo al giorno dopo. Se finisco prima e ho ancora tempo mi avvantaggio sulle scadenze fissate per il giorno dopo, altrimenti stacco e faccio qualcosa per me, tipo darsi lo smalto, andare dall’estetista, fare merenda in modo sano, fare una doccia, e via dicendo.
Questo metodo mi ha permesso non solo di essere molto più precisa con le scadenze, quando arriva il turno di quel lavoro anche se non mi piace tantissimo farlo o non è quello che farei in quel dato momento, lo faccio comunque. Mi ha permesso anche di avere un modus operandi unico, sempre uguale, che qualsiasi cosa accada non mi distrae dal mio operato, non mi fa riprogrammare ogni giorno attività diverse impostando di volta in volta i lavori in altro modo: è un risparmio di energie e di lavoro mentale non indifferente, è una scorciatoia giornaliera.
Ora mi concedo il pranzo, la merenda, la cena, il dopo cena e molto spesso anche la colazione senza smartphone, ne connessione. Sono consapevole del fatto che sono meno connessa, ma mi rendo conto anche che quello che non condivido rimane mio… e non è poi così male come sembra.
Tiriamo le somme
Quanto detto cosa significa? Significa che oggi che ho un figlio lavoro meno e lavoro meglio.
Mi sono resa conto che non posso più perdere tempo dietro lavori poco remunerativi o che non mi gratificano, che a volte vanno di pari passo, ma non sempre (assolutamente non sempre). Mi sono resa conto che un’ora di passeggiata con Giulio vale di più di un lavoro sotto i mie standard e di conseguenza ho alzato i mie prezzi, sia come travel blogger che come travel writer o ghost writer.
Non posso più permettermi di fare qualcosa solo perché mi piace senza Giulio, almeno non ancora. Mi rendo conto che la mia presenza di fianco a lui è ancora necessaria e anzi fondamentale e per lasciarlo per un lavoro in un’altra città o in un altro paese deve avere un senso, economico ma non solo, anche a fronte di un’esperienza lavorativa e personale di qualità.
A fine anno e con Giulio alle soglie del suo primo anno d’età, posso dire che questa scelta mi ha già premiato e che le prospettive future sono buone, anzi ottime. Nonostante io abbia preso in quest’anno 4 mesi di maternità e quindi non abbia fatturato per 4 mesi, il minimo per una lavoratrice che diventa mamma, posso già dire che il mio fatturato annuale non è cambiato e questo mi fa capire che la mia direzione è giusta. Le mie ore lavorative sono diminuite e la mia qualità del tempo è migliorata.
Tutto questo sono riuscita ad ottenerlo anche grazie e soprattutto direi, ad un lavoro fatto nel tempo. Dopo cinque anni di attività in proprio sono riuscita a costruirmi una buona reputazione online che mi ha permesso di continuare a lavorare meglio di prima, nonostante le mie pretese siano giustamente aumentate. Continuare a lavorare dopo un figlio si può? Sì certo, anzi si deve secondo il mio punto di vista, perché se ci si organizza bene si può non solo continuare a guadagnare, ma anche aumentare notevolmente la qualità della vita.