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  >  blog   >  Allattamento a lungo termine, come abbiamo concluso il nostro legame di latte

Scrivo questo post perché come già sapete sono una fan dell’allattamento. Ne ho parlato già in diverse occasioni, in primis in questo blog quando ho scritto di allattamento e viaggi, come allattare in viaggio, ma anche a casa, qual è la comodità dell’allattamento e perché fa bene alla mamma e al bambino. In questi giorni si è concluso tra me e Giulio il nostro legame di latte e io torno sul blog a parlarvene. 
Torno a scrivere di cose più personali per due motivi. Innanzitutto questo è un blog di viaggi sì, ma anche di vita, quindi come ho sempre fatto e sempre farò, oltre a scrivere e a raccontare di tante cose belle che mi accadono in viaggio, continuerò a raccontare delle cose belle che accadono nella mia vita. La seconda motivazione che mi porta a scrivere di questo argomento, è che ho trovato davvero poche informazioni online e ho deciso di raccontare la mia, anzi la nostra esperienza.
Sì perché, mentre sull’allattamento tanto è stato scritto, su come impostarlo, su quali aiuti si possono richiedere e su come e quando allattare, sulla fine di questo rapporto si sa davvero poco. Soprattutto sull’allattamento di bambini che hanno superato di molto i 6 mesi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, lo ricordo, consiglia l’allattamento al seno in modo esclusivo fino ai 6 mesi e complementare almeno fino ai 2 anni di vita. Almeno dice, questo vuol dire che se mamma e bambino se la sentono o hanno voglia, possono continuare il loro legame di latte. C’è chi se ne separa gradualmente e anche chi lo fa in modo brusco, tutto dipende, non c’è una via migliore dell’altra. Io racconterò qui la mia esperienza e quella di Giulio. Sta di fatto che a poche settimane dal terzo compleanno di Giulio, mi sono sentita di dire basta. Credo l’OMS sia già abbastanza fiero di me.
Domenica 11 novembre io e Giulio abbiamo concluso definitivamente il nostro legame di latte. Ricordo molto bene la data perché l’indomani sarei partita per Parigi per passare tre notti e quattro giorni fuori e lontana da Giulio. Ricordo la sua ultima espressione prima di addormentarsi, il suo sguardo e i miei pensieri fitti in testa. Da tempo ormai stavo cercando un modo, un pretesto per interrompere quella che era ormai una (bella) abitudine, ma senza riuscirci. Avevo quasi eliminato le ciucciatine giornaliere, ma quelle notturne assolutamente no, anzi si erano intensificate. In realtà, le ultime notti ricordo di averci fatto particolarmente caso, di notte si attaccava spesso ma per poco tempo. Perdeva il sonno e la ciucciatina era un modo come un altro per riprenderlo.
Quando ho iniziato ad allattare Giulio non sapevo dove sarei arrivata. E` stato faticoso in certi momenti, stancante, ma anche incredibilmente bello e appagante. Ricordo di averlo allattato ovunque, davvero ovunque, in ogni situazione di viaggio e di quotidianità. Ricordo però nell’ultimo periodo che evitavo di farlo in pubblico, soprattutto dopo l’anno e mezzo. In tanti mi dicevano che “era grande” e io, nonostante me ne fossi fregata sempre del giudizio degli altri, ci rimanevo un po’ male ed evitavo di farlo quando c’era troppa gente, soprattutto quando c’era troppa gente senza figli.
Quest’ultima considerazione però non c’entra tanto con il motivo reale per cui ho deciso, io, di porre fine a questo legame. Sottolineo io, perché fosse stato per Giulio probabilmente avremmo proseguito per altri 2 anni. Eppure, da qualche mese si era creata l’esigenza di finire questo rapporto a due. L’ho fatto quindi per ristabilire degli equilibri familiari che si stavano incrinando o che non si stavano sviluppando come credevo dovessero svilupparsi. Niente di tragico, intendiamoci, ma diciamo che se hai un bambino che di notte si addormenta solo con te e con la ciucciatina, non puoi pretendere di continuare il tuo lavoro che ti porta spesso in viaggio, ma non solo. Il babbo aveva tutte le carte in regola per prendere il mio posto, ma gli mancava solo una cosa. Quella cosa. A quasi 3 anni non era più possibile farlo sentire un genitore di serie B e credo che questa cosa fosse al momento più importante di altre.
Ho preso così la palla al balzo con il viaggio a Parigi per cui non era esattamente necessario andassi, ma per cui ho voluto esserci anche per mettermi alla prova, come già avevo fatto ai 10 mesi di Giulio del resto (ogni tanto mi piace scombussolarmi emotivamente).
Ricordo molto bene che, prima della partenza per Parigi avevo sentito la mia consulente dell’allattamento ed ero anche passata dal dottore che, nemmeno a dirlo, mi aveva riempito di farmaci (comprese le famose pasticche per mandare indietro il latte). Io non ho preso alcun farmaco, ne è stato necessario a dire il vero fare alcunché.
Io credo il mio corpo fosse pronto, Giulio un po’ meno.
Il bilancio di tre notti fuori è stato che io, sono stata bene, anche senza Giulio (parlando esclusivamente dal punto di vista fisico, non sentimentale) e lui, sempre parlando dal punto di vista fisico, pure. Al mio ritorno è scoppiato però il dramma, come l’ho chiamato io. Avevo già detto prima di partire per Parigi a Giulio, che forse al mio ritorno il latte non ci sarebbe stato più, perché ormai era grande. Così al ritorno ho approfittato di quel distacco. Giulio non ha cercato subito il contatto, diciamo che per le prime ore ha dovuto affrontare un piccolo urgano emotivo. Nonostante io gli avessi spiegato più e più volte prima della mia partenza le dinamiche del mio viaggio (io parto e non ci sono per tre notti, viene la nonna all’asilo e dormi con il babbo a casa senza mamma) e nonostante io gli avessi lasciato dei giochi la prima sera senza di me, con tanto di libri sul lavoro della mamma, lui non era esattamente pronto al distacco (e quale bambino lo è?).
La sera, una volta distesi e a casa è scattato il pianto, quello rabbioso, non quello malinconico del pomeriggio al primo incontro. La rabbia da pianto duro è durata complessivamente due giorni. Non ci potevo credere. Pensavo sarebbe andata molto peggio – e invece è qui che viene il bello. La rabbia e il pianto duro e puro sono durate due giorni appena, ma la rabbia, quella risentita e la frustrazione è durata parecchio, quasi tre settimane e ancora, a parere mio, è in corso.

Come ho spiegato a Giulio del latte?

A Giulio ho detto semplicemente che la mamma non aveva più il latte, che l’aveva bevuto tutto lui, che era tutto nella sua pancina e nel nostro cuore, che non ci sarebbe più stato perché lui era grande e ci saremmo potuti abbracciare ancora tante volte e coccolarci in altro modo. Come dicevo, la rabbia e i pianti duri sono durati pochi giorni, da allora la tetta non l’ha più cercata.
Ci sono stati però tantissimi altri momenti di frustrazione e di allontanamento/avvicinamento. Non so se il suo malumore derivava dalla mancanza del nostro contatto speciale o dal fatto che io l’avessi lasciato per 4 giorni a casa. Non me l0 so ancora spiegare, ma sinceramente credo sia la prima motivazione o un mix delle due.
Nei giorni e nelle settimane seguenti Giulio si è rivelato molto più nervoso, arrabbiato, frustrato con un mix di sentimenti altalenanti. Un momento euforico, uno arrabbiato, uno disperato e via dicendo. Non vi nascondo che questo mix di sentimenti non ha giovato affatto al benessere di tutta la famiglia, ma bene o male abbiamo retto.
Ancora oggi, che sono passate tre settimane, vedo Giulio nervoso, anche se spero migliori piano piano. Nel frattempo il nostro rapporto è cambiato. Ci abbracciamo di più, lui mi cerca molto per le coccole, la sera prima di dormire mi chiede la mano, vuole stare più spesso in braccio ma vuole anche più autonomia. Insomma, c’è un bel da fare. Credo però che la storia del latte che è finito tutto nella sua pancia l’abbia davvero convinto (anche perché è realmente così) e credo che in fin dei conti anche lui fosse pronto, anche se quel legame e quei momenti mancano e mancheranno sempre ad entrambi.
La nota positiva è che ora Giulio dorme tutta la notte senza mai svegliarsi. Una bella conquista per tutti, ma soprattutto per lui.

Io invece, come sto e com’è andata per me?

Direi bene. Tralasciando la prima notte di ritorno da Parigi in cui ho fatto un piccolo pianto liberatorio, tutto il resto è andato discretamente in discesa. La rabbia e la frustrazione a volte prendevano anche me, così come la malinconia. Nonostante questo non ho mai, mai, mai avuto un dubbio nel tornare indietro. Prima di tutto perché non avrebbe avuto senso, avrei fatto solo danni che altro. Poi, sinceramente, non sapevo come avrebbe reagito il mio corpo e non avevo nessuna voglia di metterlo alla prova anche perché non ce n’era la reale esigenza.
Un consiglio, non consiglio. Un consiglio non richiesto che posso dare è sempre quello: ognuna ascolti solo se sé stessa e il proprio corpo. La cosa più importante, che va ben al di là dei giudizi della gente, è stare bene e far stare bene la propria famiglia. Il legame di latte è un legame speciale e come tale va trattato. Non affrettarsi, non rimuginarci troppo, ma anche non attardarsi, insomma quando sentite che è arrivato il momento seguite l’istinto e tutto andrà bene.
P.s. ho voluto mettere una sola foto, contrariamente a quanto faccio sempre, una foto per me rappresentativa di questo momento e anche se lì eravamo in Canada, c’è in riassunto di quello che io e Giulio siamo in questo momento.

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