Quando un sorriso è un rimprovero, Polonia parte unica
Torno a scrivere sul blog dopo qualche settimana. Sono stata in giro per un po’ e finalmente ora che sono tornata posso scrivere questo post. Lo avevo in mente da un po’, dalla Polonia, ma ero sempre così stanca e sfinita la sera che non avevo le forze per fare nulla.
Motivo per cui ieri e oggi ho avuto davvero tantissime mail a cui rispondere, preventivi da mandare, bozze da correggere, ma ora sono qui. Mi ritaglio quest’ora di tempo, prima che il weekend arrivo del tutto, prima che inizi il mare, gli amici e il relax per raccontarvi una cosa che mi ha fatto parecchio male. Parto dal perché ero in Polonia, non credo infatti che tutti ne conosciate il motivo.
Un amico, con cui ho collaborato in passato, mi ha chiesto se ero disponibile a fare da accompagnatrice per un viaggio di 45 persone in Polonia. I partecipanti avevano una media di 60 anni, il viaggio sarebbe durato una settimana e io avrei dovuto fare poco o nulle, se non stare a verificare che tutto andasse bene, come da programma. Là in Polonia è rimasta con noi per tutto il tempo una guida locale e in ogni città c’era un’ulteriore guida a spiegarci le cose principali. Tutto bene no?
La compagnia si è rivelata quasi subito impegnativa. Piena di richieste, domande, a cui sapevo rispondere a metà, a cui doveva rispondere la guida locale che purtroppo per altri impegni non era sempre presente. Va benissimo, andiamo avanti. Una sera, io e la guida polacca ci ritroviamo a cenare insieme ed è qui che una delle sue frasi mi fa letteralmente trasalire.
Scusa come hai detto?
Sì, per me sorridi troppo.
Ok, passo indietro. Da che mondo è mondo ho sempre pensato che un sorriso aiutasse le relazioni, facesse entrare in sintonia con il prossimo, significasse eccomi sono qui, sono disponibile se hai bisogno. Forse mi sbagliavo, ma no, non mi sbagliavo… posso capire un broncio, un finto sorriso, una smorfia, ma un sorriso, di quelli non per forza a denti scoperti ma anche solo accennati un po’ con le labbra, non danno anche a voi l’idea del vieni, siediti e sentiti a tuo agio?
La guida polacca non accennava ad allentare la presa. Allora con tutta la buona volontà del mondo, le ho spiegato che forse fraintendeva il sorriso con il riso o il deridere qualcuno, che sono brutti sì, ma che in Italia c’è differenza tra ridere e sorridere e che io sorrido per aiutare a sentirsi a proprio agio le persone, per accoglierle, per farle sentire bene e forse per sentirmi bene anche io.
No, lei sosteneva che riso e sorriso sono la stessa cosa. Alla terza volta che ci provo mi arrendo e alzo bandiera bianca, le dico un semplice mi dispiace che non ci siamo capite, lei risponde con uno schietto a me no.
Ora tralasciando i nostri precedenti che lei potrebbe definire burrascosi, ma che io non mi sono accorta fossero tali finché non me l’hanno detto, ho capito che una cultura può seriamente mettere in crisi un rapporto. Anche lavorativo. Ho pensato spesso in questi giorni a cosa può essere successo, a cosa può aver pensato del mio sorriso, che lei si ostinava a chiamare riso, ma non sono riuscita a darmi una risposta. Sinceramente non ho ancora capito se è la nostra cultura, molto diversa, che ci allontana e ci separa anche in gesti semplici e immediati come questo o era proprio un mio (o suo?) blocco.
Ho trovato nei polacchi molto nazionalismo, ma anche un modo di fare brusco, risposte fredde e dirette. Niente giri di parole. Per un momento ho pensato ai polacchi come ai russi dato che ho sempre sostenuto di questi ultimi che o gli piaci o non gli piaci e se non gli piaci, è dura farti apprezzare. La Polonia, me la sono goduta poco, ho intravisto qualche città interessante e sono sicura che quando tornerò ci sarà tanto altro da vedere, perché alcuni luoghi, alcuni quartieri e alcune storie mi hanno colpita profondamente. Ma i polacchi, quelli no, i polacchi non li ho capiti, e voi?
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